Il mondo dell’audiovisivo si sta lasciando alle spalle uno dei periodi più neri della sua storia. Un’emergenza sanitaria senza precedenti ha costretto per mesi allo stop totale di tutte le attività della filiera, dai set alle sale, con gravissimi danni all’economia e ai lavoratori del cinema e audiovisivo. Anche la ripresa è stata difficile, dovendo seguire i rigidi protocolli anti contagio. Il governo, e in particolare il nostro Ministero, è corso ai ripari per fronteggiare la situazione, istituendo, con decreto-legge, il “Fondo emergenze spettacolo” e adottando numerosi provvedimenti urgenti a sostegno delle imprese della filiera e ai lavoratori in difficoltà.
La crisi, in cui l’Italia ha il triste primato di aver fatto da capofila al resto d’Europa e del mondo, si è abbattuta improvvisa, come un fulmine a ciel sereno, andando ad interrompere un periodo d’oro per tutte il settore. Fino al 20 febbraio 2020, e dunque prima dell’emergenza Coronavirus, il botteghino italiano aveva mostrato un incremento del 25% rispetto ai primi mesi dell’anno precedente e lo stesso 2019 era stato altrettanto positivo per l’Italia, che aveva fatto registrare la crescita percentuale maggiore in Europa in termini di presenze – e aumenti di incassi e presenze dell’ordine rispettivamente del 15,3% e 14,2% – grazie anche agli sforzi promozionali congiunti dell’intera industria. Centinaia di produzioni, anche internazionali, erano in procinto di partire o di ultimare le proprie lavorazioni, prima di essere costrette ad interrompere le attività.
Il coinvolgimento delle associazioni di categoria e di tutte le parti in causa per fronteggiare questo difficile momento si è rivelato uno strumento vincente e impone di ripensare ad alcune dinamiche che sono alla base di tutto il sistema. Ed è proprio questa la ricetta da seguire nei prossimi mesi: sebbene ci auguriamo che il peggio sia passato, è facile aspettarsi conseguenze negative nel lungo periodo sia per il comparto che per i territori, che si sono visti negare il supporto importante derivante dalla presenza delle produzioni – e il conseguente apporto economico immediato e indotto – che si aggiunge all’azzeramento delle attività turistiche. È dunque in questa fase che è indispensabile pensare ad un “patto di filiera” in cui le istituzioni statali dialoghino in misura sempre maggiore e costruttiva con le parti in causa e in particolare con i territori.
La Legge Cinema e Audiovisivo (legge 220/2016) ha riconosciuto il ruolo e le attività delle Film Commission come istituzioni che, nel fornire supporto e assistenza alle produzioni cinematografiche e audiovisive nazionali e internazionali, perseguono finalità di pubblico interesse; l’istituzione del tavolo di coordinamento tra DGCA, Regioni e Film Commission ha rappresentato un importante punto di contatto tra le istituzioni che operano a sostegno del comparto, con risultati interessanti in termini di dialogo e obiettivi raggiunti; il portale Italy for Movies, nato come strumento unico per attrarre gli investimenti delle produzioni sul territorio e allo stesso tempo per portare i turisti sui luoghi del cinema è ormai un punto di riferimento per appassionati e addetti ai lavori.
Negli ultimi anni le Regioni hanno riconosciuto il cinema come attività dal forte impatto culturale ed economico, e quasi tutte hanno sviluppato misure di sostegno, più o meno sistemiche, per produzioni che decidono di investire sul territorio con l’obiettivo di valorizzare il proprio patrimonio culturale, ambientale e storico, nonché le risorse umane che vi operano. Unioncamere stimava, nell’ultimo rapporto Symbola – Io sono cultura, relativo al 2018, un apporto della componente culturale, che comprende anche i settori cinema, radio e tv, sul totale spesa turistica, pari a 31,9 miliardi di euro, ovvero il 38,1% della spesa turistica complessiva in Italia. Quella attivata dal sistema produttivo culturale e creativo in Emilia-Romagna era stata, nel 2018, di poco meno di 3 miliardi di euro, il 9.4% sul totale italiano e il 37,1% sul totale della spesa turistica in regione, quasi in linea col dato nazionale.
Restringendo il campo al nostro settore, l’Emilia-Romagna, che nel 2014 si è dotata di un “Fondo per l’audiovisivo” con l’obiettivo di strutturare e valorizzare la filiera e garantire ricadute economiche sul territorio, vanta in realtà una ben più longeva tradizione di cinema. Il piccolo comune di Brescello, ad esempio, deve tanto alla saga Don Camillo, che lo ha reso un luogo familiare agli occhi degli italiani, raccontando le storie di Fernandel e Gino Cervi amici-antagonisti nella lotta politica tra cattolici e comunisti dell’immediato dopoguerra. E restando in tema di amicizia, come non citare quella tra Robert De Niro e Gerard Depardieu che condividono il giorno di nascita ma che si trovano agli antipodi della lotta di classe in Novecento (1976), di Bernardo Bertolucci? Il film è girato quasi interamente tra le “nebbiose distese della bassa”.
Un territorio variegato, che va dal mare della riviera romagnola agli Appennini, passando per la pianura padana, il corso del fiume Po e numerose città d’arte. Come Ferrara, da sempre terra di cinema e polo attrattivo di numerose produzioni.
Una breve ripresa del 1902 – quando il cinema muoveva ancora i primi passi – girata dal ferrarese Rodolfo Remondini che documentava la visita di Vittorio Emanuele di Savoia in città, preludeva già al profondissimo e indissolubile legame tra Ferrara e la settima arte nei decenni a venire.
Tanti i registi celebri del passato e del presente che hanno scelto Ferrara come set delle proprie storie, da Michelangelo Antonioni a Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Mario Soldati, Pupi Avati, i fratelli Taviani, Ettore Scola, Ermanno Olmi, solo per citarne alcuni.
Una scena importante di Ossessione, di Luchino Visconti (1943), quella della discussione tra Massimo Girotti e Chiara Calamai, che si conclude con uno schiaffo, prende il via dai giardini di piazza della Repubblica; dal Castello Estense vediamo uscire Hristo Jivkov nei panni del condottiero Giovanni dalle Bande Nere, protagonista del film Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi (2000); in Corso Ercole I d’Este è invece situato l’ingresso presunto della villa con annesso giardino dei Finzi-Contini, film del 1970 di Vittorio De Sica tratto dal romanzo di Giorgio Bassani, miglior pellicola straniera agli Oscar 1972.
Quelli appena citati sono solo alcuni esempi di come su ogni angolo della città possa essere posta una pietra miliare a ricordo di qualche scena celebre del nostro cinema e di come dunque Ferrara possa definirsi, a pieno titolo, “Città del cinema”. Un’esperienza decennale con i più importanti nomi del panorama internazionale ha permesso infatti di creare una vera e propria filiera creativa, a dimostrazione di come la cultura e il cinema siano ormai parte della storia di questa città. L’attenzione alla formazione, dalla più tenera età fino alla felice esperienza della Scuola d’Arte Cinematografica Florestano Vancini, strutturata sul modello delle grandi scuole di cinema d'Europa, è sintomatica di come la città guardi al futuro, proprio e di questo settore, creando a livello locale quel circolo virtuoso che parte dalla preparazione per arrivare alla produzione e dunque all’esperienza sul campo, un approccio che, assieme alle politiche regionali sull’attrazione degli investimenti, non può che essere rappresentativa per altri territori e a livello nazionale. Va quindi accolta con grande favore l’iniziativa congiunta delle principali realtà formative e produttive della città a sostegno delle nuove generazioni scommettendo su un comparto che ha forti potenzialità occupazionali.
Ritornando dunque alla difficile situazione che stiamo affrontando, ritengo che l’esperienza vincente su come fare sistema in questo settore, assieme al legame più che centenario tra Ferrara e il cinema e le altre industrie creative e culturali, egregiamente raccontati in questo libro, siano la risposta migliore a questa complicata ripartenza, da proporre simbolicamente come esempio di una auspicabile ripresa di tutto il settore.