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Quando ero piccolo, sette, otto anni, quando il sole ardeva ero solito andare al mare insieme ai miei genitori a bordo di una fiammante Ford Anglia rossa, si viaggiava seguendo l’itinerario della strada provinciale, a quei tempi la superstrada ancora non esisteva. Si trattava di un viaggio nel vero senso del termine, un viaggio che pareva non avere mai fine e che si rinnovava di continuo attraverso le immagini filtrate dal parabrezza della macchina, quasi fosse uno schermo cinematografico, e accompagnate dal vento e dagli odori misteriosi della campagna che entravano dai finestrini abbassati.

Venivo risucchiato in un altro mondo, un vortice che oltre ai capelli mi scompigliava anche i pensieri, incantato dalla perfetta e variabile velocità della luce oltre che dalla sensazione di gioia per essere insieme ai miei genitori, in quei frangenti in cui la nostra famiglia era riunita come non mai. Ricordo che per il timore di perdermi qualcosa del paesaggio circostante e della sua vastità, mi giravo spesso all’indietro rincorrendo file di platani interminabili che in qualche modo parevano barriere a difesa dell’ignoto. In quel guardare il mondo a ritroso s’invertiva, non solo il senso di marcia, ma bensì il senso del tempo in cui tutto pareva confondersi non sapendo più in quale direzione ci stessimo muovendo.

Il lunedì sera, assistevo con mio padre, sprofondato nelle poltrone del salotto “buono” e intorpidito dal fumo delle sue nazionali senza filtro, al consueto film in bianco e nero. Mi sgridava richiamando spesso la mia attenzione, sosteneva che in un film l’inizio è tutto per capire una storia. Aveva ragione. Quel rituale in qualche modo suggeriva e accresceva il mio immaginario alimentando la speranza che in quei viaggi tra le morbide piane apparentemente senza confini che sorgono tra Codigoro e il mare, potessero all’improvviso apparire: John Wayne, Robert Mitchum, Henry Fonda... il fantasma di Tom Joad. Fu tra le dune di Massenzatica che giurerei di aver avvistato qualche indiano, impegnato alla caccia al bisonte, lanciarsi a cavallo tra gli sterminati campi di girasole.

Quello era e resterà per sempre il mio Cinema.

Un piano sequenza interminabile, in cui il sogno si mescolava con la dimensione orizzontale del paesaggio a cui sovrapporre le mie fantasie, i miei eroi, il mio sentimento di bambino, i ricordi della mia famiglia.

Un punto di partenza facile da individuare sia nella memoria individuale che in quella collettiva. Ma anche il punto di arrivo è presto detto ed esso si identifica, ora per allora, nel dolore, nella commedia, nella drammaturgia dei nostri territori, senz’altro con forme diverse, con altre persone e altre dimensioni ma sempre con accordi convergenti a rivelare il volto delle persone, e del loro mondo, a loro stessi.

Oggi da adulto, girando le spalle al tempo per riconoscere quel bambino che ero, mi rendo conto di essere anche ora prigioniero di quella bellezza, sospeso tra l’interno della città delle cento meraviglie, qual è Ferrara, e una dimensione immaginativa costituita da pianura, fiume e corsi d’acqua , valli, terre mai ferme, il mare, la letteratura, i film in bianco e nero, le stagioni delle grandi nebbie. Direttrici trascendenti talmente impresse nella mia mente che sono diventate fatalmente le linee della mia visione del mondo.

Da John Steinbeck a John Ford l’arte cinematografica si era sviluppata anche e soprattutto attraverso le traduzioni letterarie di Elio Vittorini e Cesare Pavese in cui l’esigenza primaria era quella, interiore, di rispettare il rapporto tra figure e ambiente, tra la verità rappresentata in fotogrammi e la funzione drammaturgica. Il cinema si mosse verso la riscoperta di immagini e storie della realtà italiana, quella realtà, di fatto, che verrà poi definita neorealismo. Il testo trovò traduzione nell’opera filmica attraverso i lavori di Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Florestano Vancini, Mario Soldati, i fratelli Taviani, Pupi Avati delineando un nuovo volto del passaggio italiano.

Un cinema povero di mezzi ma ricco di creatività in cui Ferrara contribuì in modo decisivo per creare quell’ immaginario cinematografico e visivo nel cui alveo sono cresciuti tra i più grandi Maestri del cinema italiano e internazionale.

Tra il regime di queste righe, che mi obbliga ad essere sintetico e istituzionale, ho sentito in premessa l’obbligo del sogno e di un mio ricordo personale per sostenere con una punta di orgoglio come Ferrara, e il suo territorio, sia a pieno diritto la città del cinema.

“Ferrara La Città del Cinema” dunque, una realtà che trova concretezza nella Scuola d’Arte Cinematografica Florestano Vancini ideata e fondata da Stefano Muroni che, inaugurata nell’ottobre del 2019, trova sede nella nostra città. Una scuola in cui i giovani allievi possono cullare i loro sogni imparando il linguaggio del cinema attraverso la competenza di docenti professionisti. Un’occasione unica di prendere per mano le nuove generazioni, formarle e condurle verso il mondo di un lavoro fantastico, com’è il mondo dell’arte del cinema, con rinnovati stimoli di curiosità, entusiasmo e opportunità.

Ringrazio per l’impegno e l’intenso lavoro svolto l’Amministrazione del Comune di Ferrara e il suo Sindaco Alan Fabbri, la Regione Emilia-Romagna con il suo attuale Presidente Stefano Bonaccini, il Ministero per le attività culturali e per il turismo attraverso la sensibilità della Direzione Generale Cinema e Audiovisivo presieduta dal Direttore Generale Nicola Borrelli.

Ringrazio Stefano Muroni, la Vice-presidente della filiera Valeria Luzi, il Direttore artistico del Centro Preformazione Attoriale e della Tenda Summer School Massimo Malucelli, il Direttore artistico della scuola Vancini Alessio Di Clemente, tutti i docenti, Gloria Vancini per il suo contagioso entusiasmo, e soprattutto i giovani e le loro famiglie che sceglieranno Ferrara per dare una opportunità ai loro figli.

Questa è la filiera creativa che emoziona e sprona chi è preposto ad amministrare.

“You may say I’m a dreamer...” cantava John Lennon e potete anche darmi dell’ingenuo o del sognatore ma credo che la parola chiave che tiene insieme il tutto sia: passione.